mag 2014 – ago 2014

Milvia Quadrio

Inatteso (dettaglio)
2009
ferro smaltato
139 x 89.5 x 27.5 cm

Tempo di primavera
2014
mista
11 x 16 cm

Tempo di primavera
2014
mista
11 x 16 cm

Scalata al potere
2008
legno, carta di riso e metallo
40 x 4 x 27 cm

Paesello al chiaro di luna
2008
mista
6.5 x 15 cm

Riserva per un evento
2002
legno

Curriculum artistico

Milvia Quadrio dipinge a modo suo ed ha messo a punto una sua tecnica, un suo particolare trattamento della materia. Tutti gli artisti, del resto, fanno così: si appropriano di una tecnica che perfezionano, poi, o mutano secondo le loro esigenze.
Pertanto, sembrerebbe superfluo parlare dei procedimenti adottati dalla Quadrio, se non fosse che si tratta di qualcosa di originale e che, in fondo, come dirò, può riallacciarsi al discorso della sua complessa personalità.
In breve: Milvia Quadrio usa – come dire? – dei grandi fazzoletti di cotone bianco che rende rigidi con un particolare trattamento di cera o paraffina. I colori sono colori naturali che filtrano attraverso la tela rendendo valido alla visione anche il retro. Di qui la coinvolgente ambiguità delle creazioni.
Vittore Castiglioni

Umanità Ambiente
di Marco Baranzini, Storico e Critico dell’Arte

Universi dentro “tele” luoghi quasi come recinti: è in questi universi e in questi luoghi che le rappresentazioni pittoriche di Gabusi Marino occupano sulla tela uno spazio ben definito, nella loro a volte silente e a volte chiassosa fisicità dove maree di folla si incrociano e si intrecciano, dando l’impressione di essere sempre alla ricerca di un “altrove” rispetto al mondo a cui appartengono. Pur non estranee alla realtà di cui si circondano, trapelano un desiderio oserei dire di fuga e d’evasione in questa ambiguità dei loro stati d’animo. In questo contesto, la deformazione della prospettiva e della figura è uno strumento indispensabile a cui l’artista si affida per mantenere l’equilibrio compositivo, nelle opere Umanità Ambiente troviamo prospettive volutamente falsate e addirittura irreali: si incrociano ombre in diverse direzioni, prospettive contrarie, lo stesso paesaggio non è raffigurato in vari momenti della giornata o in stagioni diverse, ma entro un’unica stagione che include un intero universo. Nella pittura Gabusi, grande importanza riveste oltre al fatto compositivo quello cromatico, nella sua tecnica fatta di varie sovrapposizioni di colori e velature che vanno dalle più svariate tonalità, dai rossi ai gialli ai blu e così via, in queste combinazioni vi si può trovare anche la componente casuale, certe macchie di colore, ad esempio, sono irripetibili perché sono improvvisate e perché derivano da pennellate spontanee. Nella pittura di Gabusi Marino infatti, se nell’impaginazione c’è uno studio ed una ricerca, mi sembra che il colore possa rappresentare il momento liberatorio, l’istinto e l’improvvisazione della sua pittura. Con questi lavori l’artista ci vuole indirizzare in quel micro-mondo emozionale in quel recinto che ognuno di noi si costruisce attorno, con i confini e i limiti che ci imponiamo, con i luoghi in cui riponiamo le nostre cose, “una sorta di cortile dove manteniamo gli oggetti inutili che non vogliamo gettare o il tesoro che vogliamo nascondere”, le nostre memorie, tutto questo fa parte del nostro intimo più profondo, dove questo recinto che ci creiamo attorno è anche protezione, muro invalicabile, barriera, limite, confine, contenitore, un universo che chiaramente non troverete raffigurato sulle tele dell’artista il quale, ci invita però dentro una sorta di percorso individuale nel trovare rifugi oppure scoprire “prigioni” dove ci illudevamo fino a poco tempo fa di essere liberi. Voglio concludere affermando che il quadro per Gabusi, non è il racconto di un momento, la sensazione di uno stato d’animo, o una sequenza di immagini, ma bensì un universo emozionale dove momenti diversi ma conviventi tutti tra loro vanno a confluire in un’unica direzione, trasferendo così su tela il racconto che l’artista ci invita tutti a guardare e percorrere intimamente, anche per trovare o perdere per sempre il nostro recinto esistenziale.

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