feb 2008 – apr 2008

Loredana Selene Ricca

Abbracci (213)
2006
Tecnica mista
45 x 55 cm

Loredana nel suo atelier

Segni (174)
2002
Pastello olio su papiro Madagascar
41 x 56 cm

Ciclo Bozzoli (219)
2005
Tecnica Mista
80 x 80 cm

Viluppo
2003 / 06
Filo di lino
3 x 35 x 110 cm

Ciclo Nidonodo (251)
2007
Tecnica Mista
60 x 60 cm

Curriculum artistico

L’arte povera di Loredana riduce scritture e segni alla loro apparizione archetipa. Non sono ornamenti, sono dettati del profondo necessari a coprire il silenzio e il vuoto: con l’invenzione, con la ripetizione rituale. Segno-mago, scrittura di pronunciamento, bisogno primitivo del fondo di darsi un’uscita, un’espressività, una scrittura.
Il discorso dei segni e delle scritture si racconta – comunicante e autoreferenziale – di continuo: sul papiro, sui materiali d’uso, con la calligrafia, con lo strumento del filo – vegetale, minerale – si dà anche e si esalta nella dimensione terza delle sculture di plastica, degli involucri per corpi, delle membrane appese su cui si alzano alfabeti e sotto gli alfabeti corpi, uteri, materni epicentri, pelurie di fili per sensuali accessi. La scrittura è un reperto del passato, un dettato del profondo. La scrittura protegge le materie e le nasconde, esorcizza il vuoto attorno alle forme corporali, si erge a difesa del corpo e delle intimità del corpo. Se il piacere della pittura è dato dall’occhio, l’altro piacere per accedere a queste opere è quello tattile. Toccare, sfiorare. La prima attrazione è data dai materiali: canapa, fibre naturali, filo di lino, seta, carta di riso e carta-pelle nella fitta, spessa trama fibrosa del papiro, fitte trame di licheni, trame d’erba. Ma, data per scontata la bellezza artigianale dei manufatti, l’abilità delle mani, l’innovazione piena di luce della compressione tra grandi fogli di plastica bianca, ciò di cui qui si parla – su cui l’artista tiene il discorso – è il corpo: presenza minacciata, presenza riflessiva, incombenza espressiva, struttura totemica……
……..Presente come apprendista in alcune delle ultime aree del consorzio umano, in cui le materie che si danno in natura conservano, nell’elaborazione dell’uomo, la sacralità del segno archetipo e dell’origine – Asia, Africa – Loredana Selene Ricca, però attinge alla cultura europea.
Lo fa quando griglia e imprigiona gli oggetti nell’ansiosa ricerca di un ordine razionale, quando tesse con la scrittura una riflessione che diventa analitica.Allora l’arte povera oscilla, si sposta verso il concettuale. Così come oscillano appesi i suoi teleri, le sue sculture di plastica: tra sudario e ordine possibile dei frammenti di un discorso, manto rituale e alfabeto di un’iniziazione, accesso ai remoti dell’esistenza, materie e segni primigeni e alfabeto, tempo dei segni.
Anche per questo continuamente precario equilibrio, per questa ambiguità ricca di polluzioni possiamo guardare le sue cadenze e scritture, di traverso alla trasparenza della plastica appunto, da una parte e dall’altra, spinti dalla comunicazione dell’inconscio e dalla bellezza della forma colta.

Piero Del Giudice
Milano, aprile 2002

Umanità Ambiente
di Marco Baranzini, Storico e Critico dell’Arte

Universi dentro “tele” luoghi quasi come recinti: è in questi universi e in questi luoghi che le rappresentazioni pittoriche di Gabusi Marino occupano sulla tela uno spazio ben definito, nella loro a volte silente e a volte chiassosa fisicità dove maree di folla si incrociano e si intrecciano, dando l’impressione di essere sempre alla ricerca di un “altrove” rispetto al mondo a cui appartengono. Pur non estranee alla realtà di cui si circondano, trapelano un desiderio oserei dire di fuga e d’evasione in questa ambiguità dei loro stati d’animo. In questo contesto, la deformazione della prospettiva e della figura è uno strumento indispensabile a cui l’artista si affida per mantenere l’equilibrio compositivo, nelle opere Umanità Ambiente troviamo prospettive volutamente falsate e addirittura irreali: si incrociano ombre in diverse direzioni, prospettive contrarie, lo stesso paesaggio non è raffigurato in vari momenti della giornata o in stagioni diverse, ma entro un’unica stagione che include un intero universo. Nella pittura Gabusi, grande importanza riveste oltre al fatto compositivo quello cromatico, nella sua tecnica fatta di varie sovrapposizioni di colori e velature che vanno dalle più svariate tonalità, dai rossi ai gialli ai blu e così via, in queste combinazioni vi si può trovare anche la componente casuale, certe macchie di colore, ad esempio, sono irripetibili perché sono improvvisate e perché derivano da pennellate spontanee. Nella pittura di Gabusi Marino infatti, se nell’impaginazione c’è uno studio ed una ricerca, mi sembra che il colore possa rappresentare il momento liberatorio, l’istinto e l’improvvisazione della sua pittura. Con questi lavori l’artista ci vuole indirizzare in quel micro-mondo emozionale in quel recinto che ognuno di noi si costruisce attorno, con i confini e i limiti che ci imponiamo, con i luoghi in cui riponiamo le nostre cose, “una sorta di cortile dove manteniamo gli oggetti inutili che non vogliamo gettare o il tesoro che vogliamo nascondere”, le nostre memorie, tutto questo fa parte del nostro intimo più profondo, dove questo recinto che ci creiamo attorno è anche protezione, muro invalicabile, barriera, limite, confine, contenitore, un universo che chiaramente non troverete raffigurato sulle tele dell’artista il quale, ci invita però dentro una sorta di percorso individuale nel trovare rifugi oppure scoprire “prigioni” dove ci illudevamo fino a poco tempo fa di essere liberi. Voglio concludere affermando che il quadro per Gabusi, non è il racconto di un momento, la sensazione di uno stato d’animo, o una sequenza di immagini, ma bensì un universo emozionale dove momenti diversi ma conviventi tutti tra loro vanno a confluire in un’unica direzione, trasferendo così su tela il racconto che l’artista ci invita tutti a guardare e percorrere intimamente, anche per trovare o perdere per sempre il nostro recinto esistenziale.

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