feb 2006 – apr 2006)

Gabriela Spector

Uomini che Camminano
2000
Bronzo 1/1

Incontro
Bronzo 1/1

Le Tracce
Bronzo 1/1

In Salita
Bronzo 1/1

La Collina
Bronzo 1/1

Donna Innamorata
Bronzo 1/1

Curriculum artistico

Gabriela Spector è nata nel nord dell’ Argentina, nella città di Tucumán, nel l968 . Ha studiato per sei anni all’università, “Facultad de Bellas Artes de Tucumán” , prima di partire per approfondire la sua formazione di scultrice grazie ad una borsa di studio. Giunta a Milano a 23 anni, ha lavorato presso la Fonderia Artistica Battaglia utilizzando la tecnica di fusione in bronzo . Agli inizi degli anni Novanta il percorso di studio è continuato all’Accademia di Belle Arti di Carrara, ove si è perfezionata nella lavorazione del marmo. Dal 1994 abita in Ticino, Svizzera.

Sculture di
Gabriella Spector

Benché molto giovane, Gabriela Spector, argentina di nascita ma con avi europei, in Europa è giunta con alle spalle una solida formazione artistica, avvenuta nella città natale di Tucumán, dove, tra l’altro, in quegli anni, ha realizzato una scultura di grandi dimensioni, in tecnica mista, per un esercizio pubblico della città, ideato scenografie teatrali nonché disegni per libri e riviste. Vi sono già, in nuce, alcuni elementi riconoscibili del suo essere artista, anche se comprensibilmente determinati dalla giovane età, dalla legittima ricerca di una propria strada. E tuttavia, più ancora della predisposizione a variare la gamma dei registri espressivi, appare a noi significativa la vocazione a raccontare con le immagini, a narrare. Anche oggi, a distanza di un decennio e più, l’artista tende a prediligere la scultura come racconto, anche quando la dimensione di controcanto, quella che mira a sublimare un’immagine assolutizzandone la forma, insidia la sua vocazione primaria. Nelle accennate prove d’esordio a Tucumán, figurano tra l’altro scenografie teatrali. Non è casuale, così almeno crediamo, al di là delle circostanze che le hanno suggerite, ma peculiare a una natura istintivamente armata dall’esigenza di esprimere la condizione umana nel suo manifestarsi in un contesto definito, nel quale la figura e la realtà circostante interagiscono. Di qui, anche, il ricorso a una figurazione che a volte sconfina nel descrittivismo, quasi a volerne fermare e fissare il racconto, rivelarne le trame psicologiche, oltre a valori formali assoluti. I quali, invece, in altre opere, tendono a prevalere, pur senza mai negare i contenuti d’origine. Nel già ricco e variegato mondo espressivo di Gabriela Spector, non è infatti impossibile scorgervi due polarità che coesistono, e che hanno, ai vertici di una tradizione italiana del moderno a lei non ignota, le figure di Arturo Martini e di Fausto Melotti, e che poi, in modi diversi, nel dopoguerra, trovano sviluppi in altri scultori: da Cherchi a Tavernari, da Cavaliere a Ghinzani, ad altri. Alludiamo ai cosiddetti “teatrini”, che poi assumono altre denominazioni, e che sono in sostanza luoghi in cui avvengono suggestive azioni poetiche, tra memoria e realtà, alle quali contribuiscono l’evocazione dell’antico, con la sua classicità primitiva, da un lato; dall’altro, la sensibilità per una condizione “allarmata” dell’essere umano contemporaneo, che spesso suggerisce soluzioni espressioniste. Gabriela Spector si muove, a seconda delle circostanze, tra questi mondi, e per la loro rappresentazione e trasfigurazione, nel tempo, ricorre anche a materiali diversi: dai gessi policromi alla terracotta, dal marmo al bronzo.
Qualche anno fa, in una felice tappa della sua esistenza umana e artistica, in attesa di diventare madre, si sentì ispirata da quella condizione, e creò delle figure di forte impatto emotivo, oltre che di suggestione formale, ricorrendo alla tecnica del “calco dal vero”, in uso soprattutto nell’800, ma anche dopo, cui si prestarono altre donne in attesa del lieto evento.

Fu quindi allestita, nel luogo del parto, l’ospedale di Mendrisio, la rassegna delle opere così create, denominata “Voglia di pancia”, che costituì per l’artista un vero doppio evento, umano e artistico, e per il pubblico l’occasione di ammirare un’esperienza insolita, per certi versi unica. È stata semplicemente una parentesi, anche se straordinaria, legata alla maternità? Al di là dei contenuti, per la scultrice si è trattato della scoperta (o riscoperta) del primato della forma-volume, anche se grazie al metodo del calco dal vivo, nella dimensione naturale, che non era più quella da lei praticata, e neppure lo sarà dopo, almeno fin qui. Certo, delle esperienze precedenti, ma su scala diversa, è sopravvissuta la propensione al “racconto”, e anche, al “teatro”, benché nella circostanza la condizione di vita reale abbia agito sullo stesso piano della sua rappresentazione, ispirandola, a tratti dettandola. Ad eccezione di alcuni momenti espressivi, laddove l’artista ha scelto di privilegiare singoli aspetti del corpo e di sacrificarne altri (il volto, in particolare). Tuttavia, quella ricordata ci sembra una fase circoscritta della sua esperienza complessiva, che poi ha ripreso il suo filo conduttore, pur nella varietà dei temi, dei linguaggi, dei materiali. Anche i formati si sono ridimensionati, e le figure tornate sottili, non chiuse nella cifra realistico-simbolica, ma dialoganti con lo spazio circostante, dentro il quale s’interrogano e interrogano, rivelando una leggerezza che ne adombra la fragilità esistenziale. Riflettono pure, non solo dal profilo formale, l’incertezza del nostro tempo, l’insicurezza che assale chi è chiamato a esprimerlo con le immagini, e dunque l’artista, con il suo carico di felicità e di sofferenza, di rivolte e di appagamento, di intuizioni e di crisi. La misura evocativa, ben presente nei racconti scultorei di Gabriela Spector, esprime il bisogno di accompagnare i dubbi, gli interrogativi, la voglia di libertà con alcune certezze che fanno parte del vissuto, della memoria. A volte, possono persino disorientare per il loro eclettismo formale. Eppure, dietro a questa precarietà, si sente la natura dell’artista, la sua vocazione per la scultura, il suo mettersi in gioco, il suo aprirsi anziché chiudersi, oltre il previsto, alle istanze profonde che animano la creazione. Il suo darne puntuale testimonianza.

Esposizioni personali

  • 1993  Villa Cusani, Carate Brianza, Milano
  • 1994  Atelier Pedano, Milano
  • 1995  Casa Argentina. Roma
  • 1995  San Martín, Buenos Aires
  • 1995  Universidad Nacional de Tucumán
  • 1996  Consolato Argentino di Milano
  • 1997  Sala S. Rocco, Lugano
  • 1997  Galleria Bovien, Aurigeno
  • 1997  Finter Bank, Chiasso
  • 1998  Oratorio San Rocco, Pte Capriasca
  • 1998  Sala del Torchio, Balerna
  • 1999  Galleria Artemondo, Saronno
  • 1999  Galerie Rahn, Zurich

 

  • 1999  Galleria La Nevera, Gordola
  • 1999  Galerie Am Bogen, Bremgarten
  • 2000  Galerie Elfi Bohrer , Bonstetten, ZH
  • 2000  Galleria La loggia , Carona
  • 2002  Galerie Elfi Bohrer , Bonstetten, ZH
  • 2002  Galerie Werkart, San Gallo
  • 2002  Galerie Elfi Bohrer, Bonstetten(ZH)
  • 2002 “Voglia di pancia”,  Mendrisio
  • 2003  “Momento di pausa”, Mendrisio
  • 2004  Municipio di Camorino
  • 2004  Galerie “Im Kies” Altach- Austria
  • 2005 Galerie Elfi Bohrer , Bonstetten, ZH

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