Overview sui mercati finanziari – settembre 2021

settembre: VOLATILITÀ in aumento

Introduzione

In finanza esiste un indice che viene utilizzato come indicatore dell’incertezza del mercato.

Si chiama Volatilità o sinteticamente VIX ed è conosciuto come indice della paura.

Nei report già pubblicati ne abbiamo parlato diverse volte.

 

Il VIX esprime l’esistenza sul mercato di un aumento o di una diminuzione di instabilità, di turbolenza, di incertezza.

Per cui se il VIX aumenta vuol dire che gli operatori di mercato hanno paura (più o meno) di brusche correzioni negative del mercato. Se invece il VIX diminuisce, o è basso, vuol dire che gli investitori si sentono sufficientemente tranquilli e sicuri della stabilità dei prezzi.

Nel mese di settembre, come potete vedere in figura, il VIX è stato molto ballerino, segno evidente che il mercato è nervoso.

Il valore massimo del mese di settembre è stato di 28,660 toccato il 20 del mese.

Ricordo che lo scorso anno, in piena crisi Covid il valore massimo è stato di 82,69 ed è stato toccato il 16 marzo 2020, picco simile a quello messo a segno durante la grande crisi del 2008.

I mercati azionari statunitensi hanno conseguito in settembre la loro peggiore settimana da febbraio – e il peggior mese dall’inizio della pandemia.

Negli ultimi mesi e soprattutto in settembre la situazione si è fatta più magmatica e complicata.

Nonostante i governatori delle principali banche centrali affermino che l’inflazione non deve far paura, in quanto transitoria, la realtà economica ci mette di fronte ad una un’inflazione ostinatamente alta, ad un rallentamento delle prospettive di crescita e ad una situazione in Cina che è senza dubbio preoccupante.

Che le azioni salgano o scendano nei prossimi giorni, dopo la pubblicazione di questo report, non lo posso prevedere, non si può mai prevedere esattamente quando arriverà una significativa diminuzione di mercato, ma ci sono alcuni indicatori economici che mostrano qualche problema per i profitti aziendali a cui storicamente seguono i corsi del mercato azionario.

Uno dei principali indicatori, che fa temere per i profitti aziendali nel 2022, è il fatto che negli USA l’indice dei prezzi della produzione industriale (PPI) è salito in dodici mesi del 8,3%, mentre l’indice dei prezzi al consumo (CPI) è salito “solo” del 5,2% nello stesso periodo. È quindi evidente, come abbiamo più volte sostenuto nei precedenti report che, in assenza di un parallelo aumento dei salari con l’inflazione, le aziende non riescano a scaricare l’aumento dei prezzi alla produzione sui consumatori, con la conseguenza di deprimere gli utili.

I salari e gli stipendi, nonostante alcuni episodi isolati, anche se molto significativi, come Amazon o Walmart (che da sola da lavoro all’1% degli Americani), non sembrano seguire l’innalzamento della curva inflattiva; ovviamente le persone non sono contente che i prezzi delle cose di cui hanno bisogno (vedi energia) salgano o addirittura superino la loro capacità di guadagno.

Ci sono aree dell’economia reale che stanno vedendo i prezzi salire molto significativamente. Il gas, per esempio, ha quintuplicato il suo prezzo da inizio anno; l’energia sta creando tensioni, nonostante i governi stiano intervenendo per rallentare la crescita dei prezzi. I prezzi delle case in America sono cresciuti del 20% in un anno. Il cotone è ai massimi degli ultimi dieci anni, le tensioni sui prezzi dell’acciaio e del legname affollano i titoli dei giornali economici, e la catena di approvvigionamento delle industrie dei paesi avanzati è in grave difficoltà, con tempi di riapprovvigionamento che non si vedevano da almeno un decennio e che avevano lasciato il posto al “just in time”.

Alla fine, Powell può anche continuare a dire che l’inflazione è transitoria ma non può certo nascondere questi dati che sono visibili a tutti.

Ma, mentre la gente comune deve fare i conti con una situazione che vede sempre di più erodere il suo potere di acquisto, mentre tutti si lamentano delle difficoltà nel comprare le materie prime (vista la loro scarsità) e a prezzi sempre più alti, i profitti aziendali volano verso il loro miglior anno di sempre.

Il precedente record dei guadagni dell’indice S&P 500 è stato di circa 163 dollari nel 2019, ora gli analisti si aspettano poco più di 200 dollari per il 2021 e circa 220 dollari per il 2022.

Penso che, come sempre, le stime per il futuro siano spazzatura (mi sono sempre chiesto perché le stime siano sempre positive …) e che i profitti siano attualmente insostenibilmente alti a causa degli stimoli.

Se si guarda alla produzione economica effettiva, è circa la stessa del 2019, anche se tutti si aspettano un miglioramento l’anno prossimo.

Come possono i beni e i servizi prodotti dall’economia statunitense essere circa gli stessi del 2019, ma i profitti aziendali essere maggiori di circa il 25%?

Semplicemente è una distorsione dovuta agli eccessivi stimoli degli ultimi mesi.

L’importante aumento di spesa del consumatore medio negli USA tra il 2020 e il 2021, confrontato con l’irrisorio aumento delle buste paga, è dovuto alla sospensione dei mutui, alla pausa della restituzione dei prestiti degli studenti (ne abbiamo parlato in uno degli ultimi report), dalla moratoria sugli sfratti, dagli assegni di stimolo, dai tassi di interesse molto bassi, ecc.

Tutte queste misure distorcono il libero mercato e soprattutto nessuna di queste può essere permanente. Per cui, se nei prossimi mesi vedremo rientrare le iniziative del governo che hanno sostenuto l’economia negli ultimi 18 mesi, e se Biden renderà effettiva l’idea di aumentare le tasse sui redditi delle imprese al 25%, le stime di profittabilità media dello S&P 500 a 220 dollari per il 2022 sembrano piuttosto irrealistiche.

Non dimentichiamo anche quanto detto precedentemente e che cioè difficilmente le imprese riusciranno a scaricare sui consumatori l’aumento dei costi di produzione.

È molto probabile che una stima più conservativa, ma più realistica, si attesti intorno ai 180 dollari, che è quello che l’economia USA può ragionevolmente produrre nel 2022 a parità di tecnologie e produttività ma senza i massicci stimoli che si sono avuti fino ad oggi.

Questo si potrebbe tradurre in una correzione dei valori attuali di mercato di circa il 15-20% nei prossimi mesi.

Quello che abbiamo visto in settembre e nei primi giorni di ottobre potrebbe essere il prodromo di questo calo.

Inoltre, mercati continuamente in crescita e fortemente positivi, riescono a nascondere distorsioni che poi emergono quando i mercati correggono.

Non è un caso che grandi frodi contabili come Enron, adesso Evergrande in Cina, oppure lo schema Ponzi come quello di Madoff vengano a galla quando i mercati cominciano a correggere. Questi eventi negativi non fanno che peggiorare poi la situazione.

In poche parole, oggi io ritengo che il rischio/ricompensa vada valutato adeguatamente e penso che oggi sia meno attraente di qualche mese fa.

Infine, dobbiamo fare attenzione al fatto che mentre tutti parlano di inflazione non si vada a finire in STAGFLAZIONE (recessione + inflazione contemporaneamente): uno scenario davvero difficile da affrontare e contrastare.

Una eventuale stagflazione porterebbe in grave difficoltà sia la componente azionaria dei portafogli che quella obbligazionaria; esattamente il contrario di quanto di positivo è successo negli ultimi anni.

Analisi di mercato in settembre

Componente azionaria:

Nel mese di settembre, i principali indici azionari mondiali hanno messo a segno performance contrastanti (vedi grafico dei relativi ETF nella fig. successiva).

Alcuni sono stati negativi (gli occidentali), altri positivi (Giappone e Cina).

Lo S&P 500 nel mese di settembre è sceso di circa l’1,57% e non è quasi mai stato positivo, il Nasdaq di oltre il 3% con una punta di -4,26% e l’Eurostoxx 600 di circa il 3,4%.

La Cina ha finalmente messo a segno un recupero anche se a 3 mesi è ancora significativamente negativa (oltre -4%) e nello stesso periodo è diventata negativa anche l’Europa (-0,33%). A 3 mesi rimangono invece positivi gli indici americani.

È ormai da più di un anno che l’indice principale di riferimento (S&P 500) non sperimenta una significativa discesa.

Vediamo ora alcune definizioni:

  • Quando il mercato scende tra il 5 e il 10% l’evento si definisce un “pullback” o ripiegamento.
  • Siamo invece di fronte a un “correzione” quando il mercato scende tra il 10 e il 20%.
  • Se invece il mercato scende più del 20% si definisce “crollo” o anche “orso tecnico”.

Come abbiamo già scritto in diversi report il mercato è attualmente in una fase di “toro secolare” sta cioè salendo da oltre 10 anni.

I pullback sono abbastanza frequenti. Dal 1945 ad oggi ci sono stati 84 pullback con discese tra -5 al -10%.

Nello stesso periodo, abbiamo avuto 29 correzioni nell’intervallo dal -10 al -20% mentre i “crolli” sono meno numerosi e si sono verificati nove volte dal 1945.

I cali del 40% o più, pur non avendo un nome tecnico applicato ad esso (forse possiamo chiamarlo un doppio mercato orso), sono accaduti tre volte da quello stesso anno.

Guardate la figura che vi riporto di seguito:

In questa figura trovate le statistiche di cui vi ho appena parlato; quello che è interessante notare è che i declini di mercato sono molto più veloci dei recuperi (guardate i mesi indicati nell’ultima colonna) e che più profondi sono i cali maggiori sono i tempi di recupero che si allungano più che proporzionalmente.

Lo S&P 500 nel mese di settembre ha avuto una discesa di oltre il 4% avvicinandosi così ad un pullback. Due giorni sono stati particolarmente critici: il 20 e il 28 settembre; in questi due giorni l’indice ha perso complessivamente oltre il 3%.

Nello stesso periodo la volatilità (VIX) è cresciuta significativamente; di seguito trovate in figura il confronto nel mese di settembre tra lo S&P 500 e il VIX:

Come si può osservare, ricordando quanto detto nell’introduzione, il mercato è molto nervoso e, ad ogni piccolo segnale di calo dei mercati che può far presagire una correzione piuttosto che un crollo, l’indice della paura si innalza significativamente.

Nel mese di settembre anche un altro indicatore che abbiamo più volte osservato, l’indice “fear & Greed” della CNN Business, si è portato in area critica come si può osservare nella fig. seguente:

Componente obbligazionaria:

La componente obbligazionaria nei portafogli è fortemente condizionata dal tasso di inflazione e dai tassi reali.

La discussione sul tasso di inflazione continua a tenere banco. Sarà effettivamente temporanea come affermano i banchieri centrali o diventerà strutturale?

La prima considerazione da fare è che ormai sono passati diversi mesi da quando Powell ha cominciato a sostenere che l’inflazione non deve preoccupare e che sarà temporanea, ma intanto i mesi passano e le tensioni sui prezzi continuano a dettare i titoli dei giornali.

Detto questo, un indicatore banale che ci permette di misurare il livello di equilibrio tra economia reale (inflazione) e finanza (tassi di interesse nominali) è il tasso di interesse reale.

Il tasso di interesse reale si ottiene sottraendo dal tasso di interesse nominale (quello dei Treasury bond americani) il tasso di inflazione.

Tasso reale= tasso nominale – tasso di inflazione

A livello intuitivo, possiamo dire che il capitale è protetto dal potere erosivo dell’inflazione se l’investimento cresce almeno alla stessa velocità dei prezzi dei beni e servizi.[1] Altrimenti il nostro potere di acquisto diminuisce.

[1] Educazione Finanziaria – differenza tra tasso di interesse nominale e reale

Se il tasso reale è positivo vuol dire che chi acquista obbligazioni vede crescere il suo patrimonio reale in quanto la cedola che riceve è maggiore del tasso di inflazione che gli erode il capitale.

Se invece il tasso reale è negativo le obbligazioni sono un pessimo investimento in quanto la cedola che riceviamo non compensa la riduzione del valore di acquisto del nostro patrimonio visto che il tasso di inflazione è maggiore.

In questo momento i tassi reali sono decisamente negativi visto che il tasso nominale viene tenuto forzatamente basso dalle banche centrali mentre il tasso di inflazione continua ad essere mese dopo mese decisamente maggiore dei tassi nominali.

L’investitore medio ha in memoria il fatto che le obbligazioni sono un asset sicuro ed è per questo che continua a pensare che un portafoglio prudente contiene una buona percentuale obbligazionaria. Oggi però le obbligazioni di qualità hanno rendimenti reali negativi e spesso nei portafogli si trovano obbligazioni “spazzatura” che dovrebbero avere un tasso reale positivo ma che non lo hanno affatto.

Per questa ragione (il fatto che i tassi delle obbligazioni, anche quelle spazzatura, sono inferiori all’inflazione) il 2021 sta diventando il miglior anno di sempre per l’emissione di nuovo debito delle società a basso rating (spazzatura) alimentato da un’economia in ripresa (forse) e dalla domanda di investitori per qualsiasi rendimento extra.[2]

[2] The wall street journal 19 settembre 2021

Le società molto indebitate e deboli stanno approfittando di questa situazione per aumentare ulteriormente il loro debito, a tassi molto bassi, prima che ci siano dei potenziali e significativi aumenti nei prossimi mesi.

A prescindere dalla valutazione di convenienza o meno della cedola che una obbligazione può distribuire, rimane il tema della valutazione se avere o no in portafoglio una componente obbligazionaria per avere dei vantaggi dall’incremento del suo valore in termini non di rendimento ma di capitale.

Nel mese di settembre, infatti la componente obbligazionaria di un portafoglio bilanciato che detiene circa il 48% di etf obbligazionari ha contribuito alla performance globale per circa lo 0,6% vedi figura successiva.

Buona parte di questa performance è dovuta al rafforzamento della parte obbligazionaria denominata in USD visto che la valuta americana in un mese ha guadagnato circa il 2,5%.

Metalli Preziosi:

Continua il periodo negativo dei metalli preziosi che anche nel mese di settembre hanno messo a segno performance negative, l’oro con un -0,73% e l’argento con un -6,28%.

È evidente che l’oro, pur essendo un bene rifugio ma a rendimento nullo, in ottica di un possibile aumento dei tassi veda scemare l’interesse degli investitori.

Materie Prime:

Le materie prime che, nei primi otto mesi dell’anno, hanno avuto una notevole crescita (credo più per speculazione che per effettivo aumento dei prezzi dovuta ad una domanda sostenuta), tanto da segnare in circa 7 mesi un + 30%, (vedi fig. sotto), nel mese di settembre hanno continuato la loro corsa mettendo a segno un + 6,86%

Componente Real Estate:

Nell’ultimo report parlavamo di una potenziale bolla immobiliare rischiosa. In effetti nel mese di settembre la performance del settore è stata molto penalizzante mettendo a segno un -8,7%. Da inizio dell’anno ad oggi rimane comunque l’effetto positivo di un buon +10% circa.

Cambio EURO/USD:

Da circa un anno molti analisti continuano a fare previsioni pessimistiche sul Dollaro. Più volte la mia opinione è stata che il USD difficilmente si sarebbe indebolito oltre 1,2 perché la domanda di USD nei paesi emergenti è molto forte anche perché il debito da restituire di questi paesi è prevalentemente in USD. Infatti, nel mese di settembre il dollaro si è rinforzato sensibilmente, vedi fig. passando da 1,1851 a 1,1565.

Andamento del portafoglio modello

Nella seconda parte di settembre abbiamo assistito ad un quasi pullback dei mercati. Questa discesa si è riflessa nel nostro portafoglio modello che a fine settembre presentava una performance mensile pari a -0,51%.

il portafoglio è sceso meno del mercato in quanto nel mese di settembre era meno investito in azioni e sufficientemente liquido rispetto a un portafoglio standard bilanciato.

Per questa ragione, come potete vedere dalla figura seguente, il nostro portafoglio nel mese di settembre ha fatto meglio del portafoglio benchmark di circa 0,4%.

Da metà anno circa la nostra impostazione è stata prudente mentre il benchmark, che è sempre “full invested” ha messo a segno performance migliori del nostro modello:

Il nostro portafoglio in 9 mesi ha prodotto una performance del 5,78% contro una performance del benchmark di 8,08%.

Mentre da ottobre 2019 ad oggi la performance progressiva è di circa il +13,51%

Come potete notare dalla figura successiva le varie asset class del nostro portafoglio modello hanno contribuito in modo contrastato alla performance del mese; positivamente le materie prime e la componente obbligazionaria, mentre la parte azionaria, il real estate e i metalli preziosi hanno contribuito negativamente come potete vedere nella figura successiva.